venerdì 26 giugno 2015

Sicilian street food


          


Il millepiedi riesce a camminare perché non ha la consapevolezza di possedere tutti quei piedi.
Se lo sapesse, non sarebbe più in grado di muoverli e resterebbe immobile.

La Sicilia è come un millepiedi, si muove fluida e coordinata in una difficile organizzazione.
L’organizzazione qui è, per definizione, complicata.
Capirla, esaminarla e spiegarla mi risulta davvero difficile, come spiegare ad un occhio che vede perché non può vedersi.

Siamo tornate da questo viaggio fra isola e penisola, siamo alla fine di lunghe e difficili digestioni, ci siamo amate e odiate, abbiamo conosciuto la millesima parte di tutto ciò che ci è venuta voglia di scoprire, abbiamo imparato ad ‘usare’ la GoPro con scarso (anche ‘issimo’) successo, siamo comunque riuscite a documentare alcune chicche che non dimenticheremo, ci hanno rigato la macchina e siamo sopravvissute alla mafia! (ovviamente abbiamo imparato l’arte di sdrammatizzare ciò che non ci piace immaginare!! Leggete ‘L’arte di annacarsi’ di Roberto Alajmo)

Una nostra cara amica avrebbe detto ‘vivo in un mondo di merda a colori’.
Ci sono dei momenti in cui lo abbiamo pensato anche noi, in altri invece ci siamo dette che è bello perché è così.

Quando arrivi qui impari a ballare un ritmo differente, il vento dell’atterraggio ci aveva già avvisate.
Arrivo all’aeroporto di Trapani, prima tappa Saline di Birgi.
Una distesa di vasche d’acqua non troppo alta e cristalli di sale rosa.
La raccolta del sale nelle saline è una tecnica antichissima, risale alla prima metà del ‘300 in cui il sale veniva chiamato l’oro bianco e si utilizzava come merce di scambio.
Per consentire la formazione del sale, si comincia a lavorare sin da Marzo, posando, in queste vasche, uno strato di fango ( che contiene cianobatteri e altre sostanze organiche, alcune delle quali in grado di impedire agli ioni come il ferro di legarsi al sale e garantirne così la sicurezza alimentare) e la raccolta avviene quando l’acqua, ormai densa, si è cristallizzata formando il sale.
Ne fanno montagne bianche ma non troppo (perché per fortuna non sono ancora diventati dei criminali e pertanto il sale rimane integrale e non trattato chimicamente, chè diventa dannosissimo e di difficile smaltimento per i reni), umide e buone.

Ad accompagnare il tramonto ci è bastato un calice di  Catarratto sapido perché in alcuni momenti le cose bastano a se stesse e ci vuole poco per arrivare alla perfezione, il silenzio è sempre e comunque sottovalutato.

le saline di Birgi(TP) 


I colori di questo sud caldissimo ci hanno insegnato a sintonizzare occhi, orecchie, palato, olfatto e cuore…mi ripeto e vi confermo che le sensazioni migliori sono difficilissime da raccontare, soprattutto se, come me, ti improvvisi ‘scrittrice’ di un blog di cucina e ricerca culinaria.

Come vi raccontavo qui siamo partite in cinque e, viaggio in itinere, abbiamo scoperto che non tutte siamo arrivate lì con le stesse intenzioni anche se il denominatore comune è stato, senza ombra di dubbio, il cibo.
Infatti questa divinità ci ha trascinate dapprima a Scopello, paesino di una bellezza rara in cui siamo state molto gentilmente accolte nella cucina di Giuseppe, un signore sulla settantina che con la sua famiglia (figli e nipoti inclusi) da 50 anni continua il mestiere di ‘panaio’ iniziato troppi anni fa da suo padre. Abbiamo assaggiato, comprato e divorato tre filoni del suo buonissimo ‘Pani Cunzato’.
Questo pane tipicamente siciliano, specificatamente della provincia di Trapani, è molto più buono se mangiato al mare con le mani aggrinzite dal troppo tempo in acqua, è ripieno di una piccola parte di ben di dio disponibile in Sicilia, pomodori, acciughe, pecorino o primo sale (che comunque ha un sapore ben deciso), capperi, taaaaanto olio, poco sale vero integrale e l’amore delle manone abbronzatissime di Giuseppe, terra che sa di terra.

Purtroppo non abbiamo nessuna testimonianza del dito d’olio disperso nella busta che conteneva questa preziosità, ma possiamo garantire che in barba alla dieta è stato bellissimo affondare denti e naso in questi anfratti buonissimi.

  


Di pali in frasca, mi è venuta in mente l’immagine di noi accovacciate attorno al tavolo da lavoro di marmo, ma non uno qualunque, un tavolo che ha visto ricette di dolci che se andate al mare nella Sicilia occidentale, lo scopo merita il viaggio fra le curve spettacolari che arrivano ad Erice e noi, arrivate in questo laboratorio datato, accompagnate dal suono delle parole di Maria Grammatico, avvolte nel suo temperamento, ci siamo lasciate raccontare la sua vita fatta di prove di forza come buona parte delle donne del suo tempo orfane di padre e con un mestiere da dover apprendere in fretta.

Dalla malaugurata morte di suo padre al collegio dove ha iniziato ad avvicinarsi all’arte della pasticceria, guidata da suore non troppo gentili fino alle liti con il comune di Erice,  perchè non si è mai vista, di buon occhio, una donna sola che raccoglie meriti e onorificenze, senza l’aiuto di un uomo ( e le menti malvagie staranno pensando al pagamento in natura, e no, non è da lei neanche questo, nonostante il suo impagabile ‘Fottere sempre, sposarsi mai!’).
Io mi sono portata dietro, memorizzate nel palato, la sua pasta ed il latte di mandorle ma anche le ‘genovesi’ alla crema e la ricotta aromatizzata per i dolci.    

    
 


Quarto giorno in Sicilia, colazione alla pasticceria gelateria Colicchia di Trapani, poi Palermo. Cominciamo con un giro per i marcati dove lo street food vive da centinaia di anni per finire con la Rosticceria Pasticceria Massaro.
Primo mercato: Ballarò.
Ci chiamano da un banchino con una pentola, un tagliere e olio, sale, pepe e limone per condire poggiati sul tavolo.
Quando scoperchia la pentola, vogliamo morire!
Alcune si allontanano velocemente dalla postazione altre, nel timore più assoluto, decidono di provare: testina di vitello, esofago, trippa ed intestino cotti in una brodaglia rossiccia dall’aspetto poco rassicurante…eppure ci siamo leccate i baffi, la carne era cotta a regola d’arte, non era affatto callosa e senza opporre alcuna resistenza, con un goccio di limone, un pizzico di sale e senza pane ci siamo fatte fuori un piattino di interiora bollite e servite a la minute da un gentil signore nel mercato di Ballarò.
Arrivate a questo punto alle quattro di pomeriggio abbiamo deciso di continuare a mangiare e ci siamo fatte consigliare dove trovare il miglior ‘Pane e panelle’ di Palermo e abbiamo conosciuto Franco.

   
  


A Porta Sant’Agata, nel centro storico della città alla fine del mercato di Ballarò, Franco ex carrozziere continua a friggere crocchè di patate e panelle di farina di ceci e le serve dentro un panino al latte con semi di sesamo e aggiunge una spremuta fresca di limone, il risultato è strepitoso!
Dopo averci accolte nel suo piccolissimo apecar con un bidone per friggere e un piano di legno per poggiare i suoi prodotti, ci racconta che suo padre ha sempre fritto in quella via e da quando è morto lui porta avanti l’unica ‘attività di famiglia’, ma di giorno fa il bidello in una scuola mentre sua moglie prepara le crocchè e le panelle che Franco comincia friggere dalle due del pomeriggio fino a mezzanotte. Questa ricetta ci è rimasta talmente impressa che abbiamo deciso di portarla sul truck con noi, con il benestare del nostro maestro.





       













Salutiamo Franco per andare ad infilarci i grembiuli nella cucina del Signor Massaro, che ci ha regalato l’opportunità di lavorare e rubare con gli occhi.
Chevelodiciamoafare!!
Ci siamo scontrate con una brigata di trentacinque persone che senza indugio fanno mangiare mezza Palermo e un buon numero di viandanti.
Signori miei è un polmone che respira fritto!!
Noi siamo state messe subito in partita, dapprima con lo Chef Michele (omone tutto tatuaggi e salute) cuoco per passione e siciliano vero, poi siamo passate alla produzione di uno dei tesori che c’interessava scoprire, le arancine siciliane.
Sotto la guida paziente di Domenico, detto DragonBall abbiamo confezionato la bellezza di quattrocento arancine grandi quanto una palla da soft ball, prodotto e provato gli spiedini di brioches siciliane e ragù di carne, impanati e fritti (che sono la fine del mondo), i calzoni ripieni, le brioches in varie salse dal salato al dolce e ci siamo deliziate delle dinamiche di questa grande cucina che da molti anni ha fatto di se stessa un riferimento per tutte le persone che amano la cucina di questa isola strana che ci ha avvolte nella sua tela.

    

 


ovviamente tutto questo non è tutto, in mezzo ci sono state S.Vito Lo Capo, la Riserva dello Zingaro, i Faraglioni di Scopello, la tonnara, la trattoria da Salvatore a Trapani, il mercato del pesce talmente fresco che è ancora vivo, la seppia che ci guardava dallo scoglio sperando di essere invisibile, la cena all’agriturismo immerse in quattro comunioni di bambini siciliani e tutto il parentato, i murales del mercato della Vuccirìa, quelli di Ballarò, il Ficus neonato di 150 anni che non si sa quanto grande diventerà, la Focacceria San Francesco di Palermo ed il ‘Pane ca’ Meusa’ (panino strepitoso di milza e polmone  bollita in un brodo aromatico,tagliata sottile e ripassata in una padella di ferro con lo strutto spumeggiante, servita con ricotta alla base del pane e caciocavallo in striscette finissime sopra), i cocktail al cetriolo, zenzero e lime al MALOX di Palermo, la scuola di Teatro di Emma Dante, le ricette di Catania, il traffico, Palermo la sera, le cassatine…




Quinto giorno, l’aereo ci ha portate sulla penisola dove proseguire con questo tour, ma questa è un’altra storia.



                 

Saluti e baci, 

diotima.lab's crew


1 commento:

  1. Grazie!!!

    Mi avete fatto rivivere emozioni di una estate magica, colori e sapori che ho amato e che porterò sempre stretti nella memoria.
    Fu di quella estate la telefonata con cui tutto ebbe inizio. . . si parlava si ALMA. . . ricordo perfettamente dove ero seduto (e per fortuna ero seduto altrimenti cadevo :-))

    Tra un volo e una granita da Colicchia, tra la gioia di un bagno a Mozia e la tristezza di vedere la Riserva dello Zingaro dall'alto, impotente di fronte alla furia della natura e alla noncuranza, devastata dal fuoco. Tra una pescata e una passeggiata a Erice (con tanto di crisi isterica di Vittoria sulla teleferica e di genovesi calde. . . beh ma solo per farla riprendere), per non parlare dei tramonti a Marsala proprio di fronte alle saline con un buon bicchiere di vino o il tempio di Segesta dove meno te l'aspetti. Che terra di meraviglie.

    Ma che contraddizioni. . . . i millepiedi. . . .che altro aggiungere.

    Sui sapori non è facile commentare.
    Avete reso perfettamente l'idea e spero che chi non li conosce ancora, possa presto innamorarsene attraverso le vostre sapienti mani e la vostra commovente passione.
    Auguri.

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