Il millepiedi riesce a camminare perché non ha la
consapevolezza di possedere tutti quei piedi.
Se lo sapesse, non sarebbe più in grado di muoverli e
resterebbe immobile.
La Sicilia è come un millepiedi, si muove fluida e
coordinata in una difficile organizzazione.
L’organizzazione qui è, per definizione, complicata.
Capirla, esaminarla e spiegarla mi risulta davvero
difficile, come spiegare ad un occhio che vede perché non può vedersi.
Siamo tornate da questo viaggio fra isola e penisola, siamo
alla fine di lunghe e difficili digestioni, ci siamo amate e odiate, abbiamo
conosciuto la millesima parte di tutto ciò che ci è venuta voglia di scoprire,
abbiamo imparato ad ‘usare’ la GoPro con scarso (anche ‘issimo’) successo, siamo
comunque riuscite a documentare alcune chicche che non dimenticheremo, ci hanno
rigato la macchina e siamo sopravvissute alla mafia! (ovviamente abbiamo
imparato l’arte di sdrammatizzare ciò che non ci piace immaginare!! Leggete ‘L’arte
di annacarsi’ di Roberto Alajmo)
Una nostra cara amica avrebbe detto ‘vivo in un mondo di
merda a colori’.
Ci sono dei momenti in cui lo abbiamo pensato anche noi, in
altri invece ci siamo dette che è bello perché è così.
Quando arrivi qui impari a ballare un ritmo differente, il
vento dell’atterraggio ci aveva già avvisate.
Arrivo all’aeroporto di Trapani, prima tappa Saline di
Birgi.
Una distesa di vasche d’acqua non troppo alta e cristalli di
sale rosa.
La raccolta del sale nelle saline è una tecnica
antichissima, risale alla prima metà del ‘300 in cui il sale veniva chiamato l’oro bianco e si utilizzava come merce
di scambio.
Per consentire la formazione del sale, si comincia a lavorare
sin da Marzo, posando, in queste vasche, uno strato di fango ( che contiene
cianobatteri e altre sostanze organiche, alcune delle quali in grado di
impedire agli ioni come il ferro di legarsi al sale e garantirne così la
sicurezza alimentare) e la raccolta avviene quando l’acqua, ormai densa, si è
cristallizzata formando il sale.
Ne fanno montagne bianche ma non troppo (perché per fortuna
non sono ancora diventati dei criminali e pertanto il sale rimane integrale e
non trattato chimicamente, chè diventa dannosissimo e di difficile smaltimento
per i reni), umide e buone.
Ad accompagnare il tramonto ci è bastato un calice di Catarratto sapido perché in alcuni momenti le
cose bastano a se stesse e ci vuole poco per arrivare alla perfezione, il
silenzio è sempre e comunque sottovalutato.
le saline di Birgi(TP)
I colori di questo sud caldissimo ci hanno insegnato a
sintonizzare occhi, orecchie, palato, olfatto e cuore…mi ripeto e vi confermo
che le sensazioni migliori sono difficilissime da raccontare, soprattutto se,
come me, ti improvvisi ‘scrittrice’ di un blog di cucina e ricerca culinaria.
Come vi raccontavo qui
siamo partite in cinque e, viaggio in itinere, abbiamo scoperto che non
tutte siamo arrivate lì con le stesse intenzioni anche se il denominatore
comune è stato, senza ombra di dubbio, il cibo.
Infatti questa divinità ci ha trascinate dapprima a
Scopello, paesino di una bellezza rara in cui siamo state molto gentilmente
accolte nella cucina di Giuseppe, un signore sulla settantina che con la sua
famiglia (figli e nipoti inclusi) da 50 anni continua il mestiere di ‘panaio’
iniziato troppi anni fa da suo padre. Abbiamo assaggiato, comprato e divorato
tre filoni del suo buonissimo ‘Pani Cunzato’.
Questo pane tipicamente siciliano, specificatamente della
provincia di Trapani, è molto più buono se mangiato al mare con le mani
aggrinzite dal troppo tempo in acqua, è ripieno di una piccola parte di ben di
dio disponibile in Sicilia, pomodori, acciughe, pecorino o primo sale (che
comunque ha un sapore ben deciso), capperi, taaaaanto olio, poco sale vero
integrale e l’amore delle manone abbronzatissime di Giuseppe, terra che sa di
terra.
Purtroppo non abbiamo nessuna testimonianza del dito d’olio
disperso nella busta che conteneva questa preziosità, ma possiamo garantire che
in barba alla dieta è stato bellissimo affondare denti e naso in questi
anfratti buonissimi.
Di pali in frasca, mi è venuta in mente l’immagine di noi
accovacciate attorno al tavolo da lavoro di marmo, ma non uno qualunque, un
tavolo che ha visto ricette di dolci che se andate al mare nella Sicilia
occidentale, lo scopo merita il viaggio fra le curve spettacolari che arrivano
ad Erice e noi, arrivate in questo laboratorio datato, accompagnate dal suono
delle parole di Maria Grammatico, avvolte nel suo temperamento, ci siamo
lasciate raccontare la sua vita fatta di prove di forza come buona parte delle
donne del suo tempo orfane di padre e con un mestiere da dover apprendere in
fretta.
Dalla malaugurata morte di suo padre al collegio dove ha
iniziato ad avvicinarsi all’arte della pasticceria, guidata da suore non troppo
gentili fino alle liti con il comune di Erice, perchè non si è mai vista, di buon occhio, una
donna sola che raccoglie meriti e onorificenze, senza l’aiuto di un uomo ( e le
menti malvagie staranno pensando al pagamento in natura, e no, non è da lei
neanche questo, nonostante il suo impagabile ‘Fottere sempre, sposarsi mai!’).
Io mi sono portata dietro, memorizzate nel palato, la sua
pasta ed il latte di mandorle ma anche le ‘genovesi’ alla crema e la ricotta
aromatizzata per i dolci.
Quarto giorno in Sicilia, colazione alla pasticceria
gelateria Colicchia di Trapani, poi Palermo. Cominciamo con un giro per i
marcati dove lo street food vive da centinaia di anni per finire con la Rosticceria
Pasticceria Massaro.
Primo mercato: Ballarò.
Ci chiamano da un banchino con una pentola, un tagliere e
olio, sale, pepe e limone per condire poggiati sul tavolo.
Quando scoperchia la pentola, vogliamo morire!
Alcune si allontanano velocemente dalla postazione altre,
nel timore più assoluto, decidono di provare: testina di vitello, esofago,
trippa ed intestino cotti in una brodaglia rossiccia dall’aspetto poco
rassicurante…eppure ci siamo leccate i baffi, la carne era cotta a regola d’arte,
non era affatto callosa e senza opporre alcuna resistenza, con un goccio di
limone, un pizzico di sale e senza pane ci siamo fatte fuori un piattino di
interiora bollite e servite a la minute da
un gentil signore nel mercato di Ballarò.
Arrivate a questo punto alle quattro di pomeriggio abbiamo
deciso di continuare a mangiare e ci siamo fatte consigliare dove trovare il
miglior ‘Pane e panelle’ di Palermo e abbiamo conosciuto Franco.
A Porta Sant’Agata, nel centro storico della città alla fine
del mercato di Ballarò, Franco ex carrozziere continua a friggere crocchè di
patate e panelle di farina di ceci e le serve dentro un panino al latte con
semi di sesamo e aggiunge una spremuta fresca di limone, il risultato è
strepitoso!
Dopo averci accolte nel suo piccolissimo apecar con un
bidone per friggere e un piano di legno per poggiare i suoi prodotti, ci
racconta che suo padre ha sempre fritto in quella via e da quando è morto lui
porta avanti l’unica ‘attività di famiglia’, ma di giorno fa il bidello in una
scuola mentre sua moglie prepara le crocchè e le panelle che Franco comincia
friggere dalle due del pomeriggio fino a mezzanotte. Questa ricetta ci è
rimasta talmente impressa che abbiamo deciso di portarla sul truck con noi, con
il benestare del nostro maestro.
Salutiamo Franco per andare ad infilarci i grembiuli nella
cucina del Signor Massaro, che ci ha regalato l’opportunità di lavorare e
rubare con gli occhi.
Chevelodiciamoafare!!
Ci siamo scontrate con una brigata di trentacinque persone
che senza indugio fanno mangiare mezza Palermo e un buon numero di viandanti.
Signori miei è un polmone che respira fritto!!
Noi siamo state messe subito in partita, dapprima con lo
Chef Michele (omone tutto tatuaggi e salute) cuoco per passione e siciliano
vero, poi siamo passate alla produzione di uno dei tesori che c’interessava
scoprire, le arancine siciliane.
Sotto la guida paziente di Domenico, detto DragonBall abbiamo
confezionato la bellezza di quattrocento arancine grandi quanto una palla da
soft ball, prodotto e provato gli spiedini di brioches siciliane e ragù di
carne, impanati e fritti (che sono la fine del mondo), i calzoni ripieni, le
brioches in varie salse dal salato al dolce e ci siamo deliziate delle
dinamiche di questa grande cucina che da molti anni ha fatto di se stessa un
riferimento per tutte le persone che amano la cucina di questa isola strana che
ci ha avvolte nella sua tela.
ovviamente tutto questo non è tutto, in mezzo ci sono state
S.Vito Lo Capo, la Riserva dello Zingaro, i Faraglioni di Scopello, la tonnara,
la trattoria da Salvatore a Trapani, il mercato del pesce talmente fresco che è
ancora vivo, la seppia che ci guardava dallo scoglio sperando di essere
invisibile, la cena all’agriturismo immerse in quattro comunioni di bambini
siciliani e tutto il parentato, i murales del mercato della Vuccirìa, quelli di
Ballarò, il Ficus neonato di 150 anni che non si sa quanto grande diventerà, la
Focacceria San Francesco di Palermo ed il ‘Pane ca’ Meusa’ (panino strepitoso
di milza e polmone bollita in un brodo
aromatico,tagliata sottile e ripassata in una padella di ferro con lo strutto
spumeggiante, servita con ricotta alla base del pane e caciocavallo in
striscette finissime sopra), i cocktail al cetriolo, zenzero e lime al MALOX di
Palermo, la scuola di Teatro di Emma Dante, le ricette di Catania, il traffico,
Palermo la sera, le cassatine…
Quinto giorno, l’aereo ci ha portate sulla penisola dove
proseguire con questo tour, ma questa è un’altra storia.
Saluti e baci,
diotima.lab's crew